Colpisce il 3-4% dei bambini e fa la sua comparsa a circa 30-40 giorni dalla nascita: la crosta lattea è conosciuta comunemente come tale perché in passato si pensava che fosse causata dal latte materno, dato che riguarda esclusivamente i lattanti. Si manifesta con il formarsi di numerose squamette untuose su tutta la zona del cuoio capelluto: si tratta di un’irritazione temporanea che regredisce non appena l’organismo del piccolo è in grado di produrre determinate sostanze. Definita dai medici dermatite seborroica del lattante, è comunque destinata a scomparire spontaneamente entro il terzo-quarto mese di vita. Ma in che cosa consiste? Ci sono delle cause che la favoriscono? E soprattutto come va trattata? Vediamo la risposta a queste e alle altre più frequenti domande delle neomamme.
Come si riconosce la crosta lattea e da cosa è causata?
La zona più coinvolta dalla crosta lattea è il cuoio capelluto del bebè, dove compaiono tante squamette untuose di colore giallastro. Queste proliferano e aderiscono tra di loro: la testa del bimbo appare dunque come ricoperta da una crosta. L’irritazione spesso interessa anche le sopracciglia, la fronte, il mento, i lati del naso. Solo in alcuni casi, si estende alla zona del pannolino. La causa è dovuta alla presenza, nel sangue del neonato, di alcuni ormoni materni che stimolano le ghiandole sebacee: queste hanno la funzione di produrre il sebo, ossia il grasso, che talvolta può dunque essere prodotto in eccesso dall’organismo del bebè e andare a depositarsi sulla pelle. Questa, a sua volta, è soggetta a un processo di ricambio per cui elimina le cellule vecchie sotto forma di squamette. Il sebo agisce come un collante e fa aderire tra di loro le scaglie che, proprio per la presenza del sebo, acquistano una consistenza e un aspetto untuosi.
È statisticamente provato che vanno più soggetti alla comparsa della crosta lattea i piccoli che hanno qualche familiare che ha avuto questo problema. Nei bambini affetti dal disturbo il sebo, oltre che abbondante, ha anche una composizione alterata. Contiene infatti un’alta percentuale di acidi grassi insaturi che esercitano un’azione irritante sulla pelle. La crosta lattea viene definita dermatite (infiammazione della pelle) seborroica proprio perché causata dalla quantità e dalla qualità del sebo prodotto dal lattante.
La pelle del bambino resta danneggiata in corrispondenza della crosta lattea?
No, perché la crosta lattea è un disturbo che sparisce senza lasciare alcuna traccia. Il proliferare delle crosticine sul cuoio capelluto non comporta conseguenze sulla successiva crescita dei capelli e sulla loro qualità. Il disturbo inoltre, una volta scomparso, non lascia alcun inestetismo sulla pelle di altre parti del corpo eventualmente interessate (volto, zona del pannolino). In ogni caso, anche se la crosta lattea è innocua, bisogna rispettare tutte le norme igieniche prescritte dal pediatra per evitare complicazioni. In particolare, il pediatra può prescrivere shampoo, olio e creme a base di alludekina, una sostanza che esercita un’azione emolliente sulla pelle irritata. Va comunque tenuto presente che le cure possono soltanto alleviare i sintomi e prevenire eventuali complicazioni, in quanto il disturbo guarisce per lo più entro il terzo mese di vita.
Il bambino può fare comunque il bagnetto? Quali saponi è meglio usare?
È importante seguire un’igiene accurata, perché nelle zone colpite dalla crosta lattea la pelle è comunque irritata e quindi più facilmente sottoposta all’attacco di microrganismi nocivi. Si tratterà però di “bagnetto” particolare. Il disturbo infatti viene aggravato dall’acqua e dai saponi che asportano la piccola quantità di film idrolipidico (pellicola che protegge la pelle) presente sulla cute del bebè: per questo, la pelle va pulita con latte detergente specifico. La zona del pannolino esposta al contatto con feci e pipì va lavata per forza con acqua: quindi, andrà spalmato anche qui, come sul cuoio capelluto, l’olio di mandorle o di vaselina.
Il problema della crosta lattea si risolve in fretta? Quali precauzioni bisogna avere?
La crosta lattea regredisce spontaneamente, grazie allo stesso meccanismo che la scatena, verso la fine del terzo mese di vita. L’organismo del piccolo comincia a smaltire gli ormoni ricevuti con il sangue materno che stimolavano l’attività delle ghiandole sebacee, deputate alla produzione di sebo (grasso). Dopo questa età, il bebè sostituisce il sangue ricevuto dalla madre con quello fabbricato dal proprio midollo osseo. A questo punto, le ghiandole sebacee si mettono per così dire a riposo fino a che gli ormoni che l’organismo produrrà nella pubertà (intorno ai 10-11 anni) non riprenderanno a sollecitarle. Dopo il terzo mese, non più tenute attaccate dal sebo, le squamette si staccheranno facilmente dal cuoio capelluto. Se il disturbo interessa soltanto il cuoio capelluto, la mamma può usare un prodotto emolliente come, per esempio, l’olio di mandorle dolci o di vaselina per ammorbidire le crosticine. Queste potranno essere poi eliminate con una leggera frizione eseguita con una garza imbevuta di tali oli e successivamente, se il piccolo ha molti capelli, con un apposito pettinino a denti fitti.
La crosta lattea, irritando la pelle, la rende anche più soggetta alle aggressioni: per questo se non viene detersa correttamente o se il bambino, con le unghie non perfettamente pulite, la gratta e la graffia, alcuni microrganismi possono proliferare. In particolare si può avere una sovrapposizione di batteri Stafilococchi e Streptococchi che causano un’infezione detta impetigine. Questa comporta la formazione di pus (siero infetto): la cura consiste nell’applicazione di creme antibiotiche che verranno prescritte dal medico. Meglio dunque prevenire il problema e dedicare molta cura alle unghie del piccolo: queste vanno tagliate regolarmente perché, anche se tenere, sono infatti molto affilate e in grado di danneggiare la pelle, a sua volta, molto delicata. Si possono anche far indossare al piccolo dei guantini di cotone per evitare tale inconveniente.
Crosta lattea: a 2 anni si può parlare ormai di dermatite atopica
Se dopo il quarto-quinto mese di vita la pelle del piccolo è ancora soggetta ad arrossamenti diffusi, tende a desquamarsi, e l’irritazione è accompagnata da un intenso prurito, occorre consultare il pediatra. Non si è infatti di fronte a un protrarsi della dermatite seborroica (crosta lattea), bensì a una probabile manifestazione di dermatite atopica. La dermatite atopica è una reazione generalizzata della pelle (atopico, infatti, è un termine derivato dal greco, che significa “senza un luogo preciso”) ad alcuni agenti esterni. La malattia interessa soprattutto il volto e gli arti, ma può estendersi anche alla parte posteriore delle ginocchia e alle pieghe dei gomiti. Questa irritazione diffusa ha un’origine allergica e dipende da un’eccessiva reattività della pelle: in pratica, rappresenta la risposta dell’organismo ad alcune sostanze generalmente innocue, ma avvertite come dannose, dall’acqua ad alcuni detergenti, a particolari cibi o determinati tessuti. Si è riscontrata una certa familiarità: sono più soggetti al disturbo i bambini i cui familiari ne hanno a loro volta sofferto o che sono affetti da altre forme allergiche.
Non esista una cura definitiva contro la dermatite atopica. Lo specialista, nei casi più seri, consiglia creme a base di cortisone da usare per alleviare i sintomi e, dopo i sei mesi di età, un farmaco antistaminico per bocca, per combattere il prurito. Soprattutto, però, suggerirà gli accorgimenti da prendere riguardo all’abbigliamento (niente fibre sintetiche) e ai prodotti (da evitare i detergenti troppo aggressivi o contenenti profumi). Il disturbo può durare anche fino alla pubertà (10-11 anni), ma tende a migliorare in primavera e ad attenuarsi quasi del tutto d’estate, grazie all’azione benefica dei raggi del sole.