La comparsa di un dolore, un formicolio su una parte del corpo, cui segue il progressivo evidenziarsi di piccole lesioni simili a brufoli che a mano a mano evolvono in crosticine, è il segno di un disturbo della pelle chiamato tradizionalmente “Fuoco di Sant’Antonio”. Si tratta di un male che insorge perlopiù nei periodi di grande stress, quando che la stanchezza fisica e psicologica potrebbe determinare un calo delle difese immunitarie. Cosa fare e come comportarsi quando appare questa problematica? Ne parliamo in questo articolo.
Che cos’è il fuoco di Sant’Antonio?
Responsabile del Fuoco di Sant’Antonio, il cui nome scientifico è herpes zoster, è un virus della famiglia degli herpes, gli stessi che, per intenderci, sono responsabili dell’herpes labiale e della varicella. “Zoster”, in latino, significa cintura. E l’herpes zoster è chiamato così perché causa lesioni che ricordano, per forma, una cintura: le lesioni del Fuoco di Sant’Antonio sono infatti vere e proprie strisce. Esso non compare quasi mai come prima manifestazione da herpes zoster, ma solitamente colpisce chi ha già avuto la varicella in anni precedenti. Per tenerlo sotto controllo è necessario, nelle prime ore della comparsa delle lesioni, ricorrere a farmaci antivirali come l’Acyclovir, che impediscono al virus di replicarsi. Bisogna poi usare farmaci dall’alto potere antidolorifico per lenire il dolore, spesso notevole, che provoca questo male: uno stato di disagio che può durare anche dopo la scomparsa delle lesioni.
Come si riconosce il cosiddetto Fuoco di Sant’Antonio?
Nella fase di esordio non è semplice riconoscere questo disturbo, perché la pelle non presenta alcuna lesione o arrossamento. Ad esempio, a volte il fuoco di Sant’Antonio, nelle fasi precedenti la sua comparsa, provoca dolori addominali. Purtroppo in questo momento iniziale è difficile attribuire questo sintomo al virus, perciò nei giorni precedenti non risulta mai chiara l’origine del malessere. Tuttavia un sintomo che già può indirizzare il nostro sospetto è il dolore: si tratta di un dolore strano, una via di mezzo tra una ipersensibilità, un bruciore e un prurito, che disorienta il paziente perché non sa bene come porvi rimedio.
A distanza di due giorni circa dalla comparsa del fastidio cutaneo, appare, in corrispondenza della parte dolente, un arrossamento, che evolve in questo modo: in principio si osservano piccole lesioni puntiformi, simili a vesciche, piene di liquido trasparente. Poi le lesioni, che in genere si concentrano nella zona del tronco, si accrescono in numero e vanno a raggrupparsi tra loro. Il Fuoco di Sant’Antonio è così giunto al suo massimo sviluppo. Da questo momento in poi le vesciche iniziano a seccare, a mutarsi in crosticine prima e, poi, a cadere spontaneamente, lasciando, dopo una decina di giorni, segni simili a cicatrici. Ma i danni non sono limitati solo alla pelle.
In corrispondenza della zona interessata dalla comparsa della lesione cutanea, per diverse settimane può rimanere infatti una sensazione di dolore più o meno intensa, secondo i casi, che prende il nome di “nevralgia post-erpetica”. In pratica, le terminazioni nervose che corrono sotto la pelle rimangono lesionate dalla malattia e pertanto conducono un messaggio doloroso al cervello anche dopo la completa guarigione cutanea.
Come si cura il Fuoco di Sant’Antonio e come occorre lavarsi?
Per ridurre al minimo il disagio, la vastità delle lesioni e la possibilità di andare incontro alla nevralgia, si dovrebbe intervenire con la massima prontezza. Non appena un paziente comincia ad avvertire un dolore con le caratteristiche già descritte può recarsi dal medico curante o dal dermatologo. A questo punto il medico consiglierà di tenere costantemente sotto osservazione la pelle perché, al primo accenno di arrossamento o comparsa delle macchie, si potrà iniziare ad assumere un farmaco antivirale chiamato Acyclovir.
Attenzione va prestata anche a come lavarsi, in caso di fuoco di Sant’Antonio per non toccare o stimolare le lesioni: bisognerebbe evitare di sfregare le zone del corpo ricoperte da vescicole, dunque non lavarle o farlo in maniera molto delicata, con saponi non aggressivi, e successivamente asciugare senza strofinare.
Fino a quando deve essere continuata la terapia con l’Acyclovir?
La terapia con farmaci antivirale deve essere proseguita fino alla completa scomparsa dei sintomi e delle vesciche. Quando le vesciche si sono seccate e iniziano a cadere, significa che il processo di guarigione è avvenuto. Se il disturbo non è curato, in genere, questo succede nel giro di una decina di giorni. Con le cure, invece, possiamo ridurre la durata del disturbo a cinque o sei giorni, ma soprattutto possiamo renderlo meno intenso. Questo, però, riguarda solo la lesione della pelle: la nevralgia guarisce in tempi più lunghi e si cura con farmaci diversi.
Per ridurre il dolore è necessario affidarsi al consulto di un medico che potrà eventualmente prescrivere alcuni antidolorifici in dosi e durata, che saranno valutate secondo le condizioni del paziente. Durante tutto questo tempo, l’igiene della parte colpita da herpes deve essere fatta con grande accuratezza. Meglio non adoperare detergenti aggressivi: deve sempre essere il dermatologo a consigliare il migliore prodotto, che deve contenere anche una sostanza antisettica per non correre il rischio di infezioni.
Chi è colpito più facilmente dall’herpes zoster e come avviene il contagio?
Le donne sono soggetti più vulnerabili al Fuoco di Sant’Antonio. Le possibilità di essere affetti da tale disturbo crescono a mano a mano che aumenta l’età: questo si verifica a causa del progressivo indebolirsi del sistema immunitario. Inoltre, se una persona non ha mai avuto la varicella e viene a contatto con il liquido delle vescicole contenute nelle lesioni di un individuo affetto da herpes zoster, può ammalarsi di varicella. Chi, invece, ha già contratto la varicella in passato non rischia di ammalarsi di nuovo, benché si consigli comunque di evitare il contatto per questioni igieniche. Il virus responsabile del fuoco di sant’Antonio si diffonde soprattutto attraverso la biancheria usata in comune, mentre al contrario il respiro non rappresenta un veicolo di contagio perché l’infezione è localizzata e non generalizzata come nella varicella.
È possibile prevenire il Fuoco di Sant’Antonio?
Una forma di prevenzione mirata per questa malattia non esiste. Sappiamo, però, che tale problema sopraggiunge quando il paziente subisce un calo delle difese immunitarie. Il virus dell’herpes, infatti, è uno di quei virus che noi medici chiamiamo “opportunisti”, perché sfruttano i momenti di debolezza dell’organismo: rimangono nascosti fino a che il corpo è forte e in salute, ma tendono a “farsi vivi” quando è indebolito, magari in seguito a una malattia o a un periodo di forte stress. Una forma di prevenzione, è possibile con un’alimentazione in grado sostenere le difese immunitarie. Le sostanze che ci aiutano a mantenere in forma il nostro sistema immunitario sono le vitamine, i sali minerali e gli antiossidanti; i cibi in cui ne troviamo in quantità sono la frutta e la verdura fresche. In inverno, le arance, i kiwi e i cavoli sono forse gli alimenti più indicati per questo genere di prevenzione.
La “cura preventiva” a base di farmaci antivirali, invece, non serve e inoltre rischia di selezionare una “razza” di virus resistente al farmaco, rendendo quest’ultimo inutile nel momento del bisogno. Al momento è in corso di studio negli Stati Uniti un vaccino per prevenire il Fuoco di Sant’Antonio: è riservato a persone con più di 60 anni, alla “fascia” di popolazione, cioè, che più di frequente è vittima di tale disturbo.
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