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Prurito intimo dopo il rapporto? Ecco i possibili ...

Prurito intimo dopo il rapporto? Ecco i possibili motivi

Specie in estate, quando le vacanze moltiplicano le occasioni di incontri, avere rapporti sessuali non protetti aumenta il rischio di contrarre un’infezione sessuale. E le “vittime” di questa imprudenza sono soprattutto i giovani, tra i 20 e i 40 anni, di entrambi i sessi. Tuttavia, la maggior parte di questi disturbi si possono risolvere, se vengono individuati precocemente. Possono avere conseguenze serie (come la sterilità), invece, se vengono scoperti in ritardo. Vediamo dunque l principali problemi, che cosa fare per prevenirli, quali sono i sintomi di allarme e come si possono curare.

La clamidia

La clamidia è provocata da un batterio, la Chlamydia Trachomatis, che nella donna infetta la cervice e nell’uomo l’uretra. È un’infezione da non trascurare, poiché può scatenare un’infiammazione pelvica più profonda (Pid), che interessa le tube e successivamente può causare sterilità. L’incubazione va dai 10 ai 15 giorni; nella donna, provoca l’infiammazione della cervice e perdite intime bianco-giallastre, mentre nell’uomo una secrezione di muco biancastro dall’uretra associata a bruciore durante la minzione. Per la diagnosi, si esegue un prelievo dalla cervice uterina nella donna e dall’uretra nell’uomo e poi si esamina al microscopio alla ricerca del germe. La cura è a base di antibiotici da prendere per bocca, come le tetracicline o l’eritromicina, per due o tre settimane.

La candida

La candida è provocata da un fungo, la Candida Albicans, che è abitualmente presente nella vagina. L’infezione viene trasmessa soprattutto attraverso i rapporti sessuali, ma la candida può iniziare a moltiplicarsi improvvisamente e causare l’infezione anche in seguito a cure antibiotiche, a una cattiva igiene intima e in gravidanza, a causa di particolari alterazioni ormonali. L’incubazione va da 4 a 8 giorni; nella donna si manifesta con prurito vaginale, bruciore durante il rapporto e perdite bianche, simili a latte cagliato. Nell’uomo, il contagio causa dapprima bruciore e arrossamento del glande e del prepuzio, in seguito la comparsa di piccole vesciche. Per la diagnosi, nella donna si fa un prelievo vaginale e si osserva al microscopio per individuare la presenza del fungo; nell’uomo si esaminano i genitali esterni alla ricerca di arrossamenti. La cura, di 1-2 settimane, è a base di antimicotici imidazolici (creme e, per lei, ovuli e candelette). Nei casi seri, si usano farmaci per bocca.

I condilomi

I condilomi sono molto contagiosi e si possono contrarre anche usando servizi igienici infetti. Tra le conseguenze più serie ci sono i tumori al collo dell’utero (è stato accertato che il virus è presente nel 99,7 per cento dei casi di tumore). Le varianti conosciute che colpiscono l’apparato genitale sono una trentina: quelle a bassa pericolosità sono le meno numerose e provocano per lo più condilomi sui genitali esterni; mentre quelle più aggressive sono la maggioranza (in particolare i sottotipi 16 e 18) e sono destinate, se non vengono individuate precocemente, a degenerare in lesioni precancerose. La malattia ha un’incubazione variabile da 1 a 3 mesi. I condilomi si riconoscono perché sono simili a piccole escrescenze rosate o biancastre, localizzate sui genitali femminili e maschili, con una predilezione per le mucose. In seguito, possono essere contagiate la cute adiacente, l’uretra, la zona anale e quella perianale. Non causano perdite, ma solo un leggero prurito o bruciore.

Per la diagnosi, oltre alla visita specialistica della cervice, della vagina e della vulva per la donna e la peniscopia per l’uomo (l’ingrandimento dei genitali), si esegue un esame al microscopio di cellule prese dalle aree sospette. Un test nuovo, che consiste in ‘sonde al Dna’, scopre la presenza del virus nel 99 per cento dei casi e identifica anche il sottotipo e il rischio di formazione del tumore. In pratica, il muco cervicale prelevato dal collo dell’utero con la stessa tecnica del pap-test viene esaminato da una macchina computerizzata, che ricerca il Dna del virus. Se il test è positivo non significa che la donna abbia un tumore, ma che è più a rischio di svilupparlo rispetto a una il cui risultato è negativo. Per eliminare i condilomi ci sono varie cure: la novità più recente è costituita da una crema a base di imiquimod, una sostanza che, applicata sulla lesione (per 3-4 mesi), stimola le difese immunitarie, provocando nella zona interessata una maggiore produzione di interferone, che porta indirettamente all’eliminazione del virus. Fra le cure chirurgiche, c’è la diatemocoagulazione, eseguita con un bisturi elettrico, la criochirurgia (eseguita con toccature di azoto liquido) o il laser ad anidride carbonica, che vaporizza la lesione. Tuttavia, poiché tali interventi colpiscono solo il condiloma, spesso dopo qualche anno si verificano delle recidive (ricadute), a causa dell’impossibilità di colpire il virus, che si è annidato nelle cellule vicine alla lesione.

L’Herpes genitale

Si tratta di un’infezione causata da un virus, l’herpes simplex di tipo 2, molto contagioso. Si trasmette attraverso la mucosa che riveste gli organi sessuali maschili e femminili (pene, ano, vulva, vagina, collo dell’utero) e provoca un’infiammazione della vagina nella donna e del prepuzio nell’uomo. L’incubazione è di 2-10 giorni e si manifesta con arrossamento, bruciore, prurito e piccole vesciche a grappolo sulle mucose genitali e sulla cute circostante che, dopo qualche giorno, si rompono e formano una crosticina. Nell’uomo, invece, vesciche e arrossamenti si presentano sul pene e sulla cute che lo circonda. Molte persone, tuttavia, non accusano i segni della malattia a breve distanza dal contagio, ma possono ugualmente soffrire di ricadute periodiche che, col passare del tempo, causano disturbi sempre meno intensi. Una volta entrato nell’organismo, infatti, il virus non scompare più. In particolare, dai genitali risale ai gangli nervosi dorsali, dove si mette a riposo fino a quando c’è qualcosa che lo risveglia, per esempio una malattia o un calo di difese immunitarie.

Nella fase acuta, per la diagnosi si esegue una visita specialistica e un prelievo di siero dalle vescicole, che poi viene esaminato al microscopio alla ricerca del virus. Se i disturbi sono più vaghi, occorre fare un prelievo del sangue, che dosa gli anticorpi specifici per l’herpes simplex di tipo 2. La cura è a base di un farmaco antivirale: l’acyclovir (da prendere il prima possibile per bocca per 5-6 giorni), che blocca la riproduzione del virus. Se le vescicole sono già rotte, applicare una crema antibiotica per evitare che si aggiunga un’infezione batterica.

La gonorrea

La gonorrea è causata da un batterio, la Neisseria gonhorreae, che si localizza nell’apparato genitale, provocando un’infiammazione dell’uretra nell’uomo e della cervice e della vagina nella donna. In quest’ultimo caso, se non viene curata tempestivamente, l’infezione può anche risalire fino alle ovaie e provocare sterilità. L’incubazione va dai 3 ai 10 giorni; nella donna si manifesta con una lieve sensazione di bruciore durante la minzione, mentre negli uomini causa la fuoriuscita di un liquido verdastro dall’uretra. La diagnosi si esegue con un prelievo di muco dalla cervice e dall’uretra e l’esame successivo al microscopio alla ricerca del batterio. La cura è invece a base di antibiotici (per 6-8 giorni), tra cui l’amoxicillina per bocca.

La sifilide

La sifilide è provocata da un batterio, il Treponema Pallidum, che colpisce dapprima gli organi genitali e poi si diffonde in tutto il corpo. Dopo un’incubazione di circa un mese, iniziano a gonfiarsi le ghiandole inguinali e compare, sulla vulva o nella vagina (nella donna) e sul pene (nell’uomo), un piccolo nodulo duro e non doloroso, chiamato sifiloma. La lesione produce un siero limpido, molto contagioso. Questa fase dura circa due o tre settimane, poi tutto torna alla normalità. Ma la malattia è scomparsa solo temporaneamente, poiché a distanza di un paio di mesi compaiono su tutto il corpo, compresi i palmi delle mani e le piante dei piedi, macchie color rosa salmone grandi come lenticchie, che rimangono visibili per circa 15 giorni e sono il segnale che l’infezione si è diffusa in tutto l’organismo.

La diagnosi si basa sulla ricerca al microscopio del batterio dopo aver prelevato un po’ di siero dalle lesioni. Inoltre, si può eseguire un test (di Wasserman) attraverso un prelievo di sangue, che rileva la presenza degli anticorpi nei confronti del germe. La cura prevede un’iniezione di antibiotico (penicillina, tetraciclina cloridrato o eritromicina). In seguito, sono necessari controlli precauzionali da effettuare ogni due anni (con gli esami del sangue e la visita dallo specialista).

Il Trichomonas

È causato da un protozoo (un animale unicellulare), il Trichomonas Vaginalis. Oltre che con i rapporti sessuali, l’infezione si può contrarre attraverso il contatto con biancheria, gabinetti, piscine. L’incubazione va da 3 a 30 giorni e si manifesta con un’infiammazione della vagina e perdite giallo verdastre nella donna, mentre nell’uomo causa bruciori e la secrezione di muco dall’uretra. La diagnosi viene fatta prelevando per mezzo di un tampone un campione di perdite (dalla vagina per la donna e dall’uretra per l’uomo) e osservandolo al microscopio allo scopo di individuare il protozoo. La cura dura 6-8 giorni ed è a base di farmaci a base di metronidazolo, sotto forma di ovuli e candelette vaginali (per la donna) e creme.

La Gardnerella

Nota anche come vaginosi, è causata dal batterio Gardnerella Vaginalis. Se non viene curata tempestivamente, l’infezione può diventare cronica. Si manifesta entro pochi giorni dal contagio con secrezioni abbondanti, accompagnate da cattivo odore e talvolta anche da un lieve, ma insistente prurito nella zona vaginale. La diagnosi si esegue esaminando al microscopio le secrezioni vaginali alla ricerca del batterio. Per curarla si usano antibiotici, tra cui il metronidazolo, per circa 6 giorni.

Le epatiti

I virus dell’epatite che possono essere trasmesse attraverso i rapporti sessuali sono i tipi B e C. In genere, l’infezione non causa sintomi, per cui non ci si rende conto di aver contratto la malattia, ma nel 50 per cento dei casi, una volta entrati nell’organismo i virus provocano un’infezione cronica. Il 20 per cento dei malati nel corso di 20 o 30 anni può ammalarsi di cirrosi o cancro del fegato. Per prevenire l’epatite B la soluzione più efficace è il vaccino, mentre per l’epatite C l’unica soluzione è usare il profilattico. Una cura radicale per l’epatite B e C non esiste ancora; tuttavia, la malattia si può tenere sotto controllo con la somministrazione di farmaci antivirali, che servono a rallentare la replicazione del virus e che devono essere presi per tutta la vita. In particolare, per l’epatite B si sta dimostrando molto efficace la lamivudina, un farmaco che colpisce il virus nel Dna, bloccandone la replicazione in modo duraturo e senza effetti collaterali. Per l’epatite C, infine, finora il farmaco più usato è stato spesso associato a un altro antivirale, la ribavirina. A questi preparati dovrebbe presto aggiungersi un nuovo interferone, il peghilato, ancora più tollerabile ed efficace dei farmaci tradizionali.

L’Aids

È provocato dal virus Hiv e, oltre che per via sessuale, può essere trasmesso con trasfusioni di sangue infetto o l’utilizzo di siringhe e aghi contaminati. Chi ha contratto il virus non sempre lo sa, poiché la malattia può non provocare sintomi per anni. Tuttavia, è infetto e, quindi, può trasmettere l’infezione ad altre persone. Da quando entra nell’organismo al momento in cui si scopre il contagio possono passare da due settimane a 3 mesi. Dal contagio alla malattia vera e propria possono passare da 6 mesi a oltre 10 anni. Nella fase iniziale, i sintomi classici sono stanchezza e malessere generale, seguiti da un ingrossamento dei linfonodi del collo, dell’inguine e delle ascelle, difficoltà respiratorie, febbre, perdita di peso, gastroenterite. In caso di rapporto sessuale a rischio bisogna fare un esame del sangue alla ricerca degli anticorpi del virus Hiv. Sono in fase di sperimentazione diversi tipi di vaccini, sia su persone sane (come prevenzione), sia su sieropositive. La somministrazione precoce di diverse combinazioni di farmaci (tra cui l’Azt) ha lo scopo di bloccare e contrastare il più possibile l’azione del virus.

 


Dermatologo Plastico a Milano - Fondatore e Direttore Istituto Dermoclinico Vita Cutis

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